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sabato 6 luglio 2013

Uno Sguardo a: Tutta Colpa del Cuore di Elisabetta Rossi

Tempo fa vi avevo mostrato un'altra opera di questa autrice italiana, un giallo ambientato nelle strade di Siena... adesso cambiamo colore e andiamo a vedere un romanzo rosa che ha stuzzicato le mie papille gustative da inguaribile romantica!

Tutta Colpa del Cuore di Elisabetta Rossi


Titolo: Tutta Colpa del Cuore
Autrice: Elisabetta Rossi
Pagine: 168
Prezzo: € 0,99
Data di pubblicazione: Aprile 2013

Trama

Emma e Daniele sono molto diversi e vivono vite molto diverse.
Le loro strade, però, si incrociano grazie ad una canzone: “Tutta colpa del cuore”.
Lei è una grafica dal lavoro precario, onesta e sincera, anche troppo.
Lui è il manager di un cantante famoso adorato dalle teen-ager che è anche suo fratello.
Complici Roma e un'inconsueta ed abbondante nevicata li costringerà, isolati dal mondo, a confrontarsi.
Le loro vite così diverse subiranno profondi cambiamenti non privi di colpi di scena: scambi di persona, vendette e tradimenti. Ma si sa, il destino non fa mai niente “a caso”...

Per stuzzicare la vostra curiosità vi mostro un estratto sostanzioso del romanzo!
Capitolo 1

L'aria profumava di pioggia.
Quell’odore avrebbe condizionato la mia giornata, scandito le ore, accompagnato i pensieri e seguito fedele i tratti veloci della mia matita.
Sperai che oltre ai miei capelli che con l'umidità erano diventati una foresta impenetrabile di ricci ispirasse anche la mia creatività.
Ma forse il profumo della pioggia, così deciso, era solo un’indicazione, rafforzata dal mio personale 'barometro' olfattivo, di tempesta e a quella ero abituata, quindi, conclusi che anche oggi non sarebbe cambiato molto rispetto alle altre giornate.
Per un attimo, a quel forte odore di terra bagnata si sovrappose il profumo della fragranza della pasta sfoglia, dello zucchero caramellato e della crema cedevole dentro ai bomboloni.
Avrei potuto fare quel percorso senza aprire gli occhi e sarei giunta senza problemi alla mia quotidiana destinazione: il posto di lavoro.
A poche decine di metri dalla fermata del treno, semplicemente seguendo il profumo della crema, avrei oltrepassato l’entrata del bar pasticceria di Gino, l'avrei salutato e lui mi avrebbe di sicuro fatto notare il tempo, avrebbe accennato ai giorni mancanti alle festività, poi, sarebbe passato a elencare i suoi acciacchi, accompagnando la consueta 'ricetta' con un sorriso e qualche passo di danza.
Poi, avrei dedicato la mia attenzione al profumo del caffè appena macinato, al rumore dei cucchiaini dentro le tazzine e alle chiacchiere degli avventori.
Avrei guardato il bancone pieno di paste invitanti, il porta salviette di metallo, un vero cimelio nell’era della plastica appariscente, avrei osservato ancora i mosaici di piastrelle che riproducevano un delfino in balia delle onde e mi sarei sentita protetta.
“Ciao bella, cosa prendi?” era solito domandarmi, Gino.
“Ho voglia di crema”, gli rispondevo tutte le volte.
Il nostro scambio di convenevoli sembrava un balletto che seguiva costante sempre lo stesso rituale.
Lui sorrideva, prendeva le pinze di acciaio e mi metteva una pasta ancora calda dentro al sacchetto di carta bianca con il logo della pasticceria.
Quella tappa giornaliera mi consentiva di affrontare le fauci dello 'squalo', era il mio ponte che attraversava audace un fiume dalle acque limacciose.
L'altra sponda era fredda e non era costeggiata da ciliegi in fiore.
“Veronica non si è fatta vedere neanche oggi…”, mi disse, ma non sembrava molto dispiaciuto.
“Manderà qualcuno dello staff a farsi portare il solito”, gli risposi.
“Mi chiedo come fate a sopportarla”, disse con sincerità l'uomo.
“Lei è molto brava a trovare i clienti e io sono solo una dei grafici dell'agenzia pubblicitaria che dirige”.
“Come al solito sminuisci il tuo lavoro, senza di te o degli altri, lei potrebbe trovare tutti i clienti che vuole, ma venderebbe solo prodotti scadenti”, poi con un gesto della mano mi indicò i dolci.
“Vedi, questi sono il frutto della mia creatività, il resto è fumo” e con una mano spostò la mia attenzione sul locale.
Io l'avevo sempre considerato come un padre che tenta di scuotere il proprio figlio genio che mal si adatta alla vita reale.
Sì forse l'immagine che davo di me era quella di una disadattata e non avevo, purtroppo, neanche la scusante della genialità.
“Credo che tu sia sprecata a lavorare per Veronica, come gran parte del suo staff. Hai mai pensato di aprire un'agenzia tutta tua?”.
Me l'aveva già suggerito altre volte, ma continuava a insistere. Se poteva, cercava di spronare tutti i suoi clienti a migliorare le loro condizioni di vita e in effetti, mi resi conto voltandomi e guardando le altre persone che anche loro avevano lo stesso sguardo sperduto che avevo io, consapevoli come me di vivere in un mondo parallelo, fuori dalla realtà, una condizione indispensabile per continuare ad alzarsi ogni mattina, fare le stesse identiche cose di ogni giorno e non impazzire.
“Devo andare, stanotte ho fatto un sacco di bozzetti, speriamo che il cliente, li approvi, perché il 'grande capo' avrà come suo solito da ridire”, indicai la cartella che avevo appoggiato su uno dei tavolini di formica rossa, addossato al muro, che era ancora libero.
Era presto quella mattina e se non avessi avuto quelle tavole da far visionare alla direttrice prima dell'arrivo del cliente, me la sarei presa molto più comoda.
“Un cliente importante?” chiese incuriosito Gino, sporgendosi sul bancone.
Il suo faccione era rassicurante. Guardai i suoi capelli, tagliati a spazzola completamente bianchi, sembrava che anche loro fossero ricoperti di zucchero a velo come le sue deliziose paste.
“Sì”.
“Posso vedere quello che hai fatto?”.
“No, Veronica è di una paranoia assoluta, pensa sempre che ci sia qualcuno che possa rubarci le idee e non vuole che mostriamo i nostri lavori o parliamo di quello che stiamo facendo con nessuno... diventa simpatica come uno stormo di storni che ti ha preso di mira. Hai presente?”.
Gino si tirò subito indietro, appoggiandosi al mosaico di piastrelle. Il delfino svettava tra le onde blu e azzurre, confondendosi con le creste spumeggianti di quel mare immobile. L'espressione dell'uomo da curiosa era diventata sospettosa, poi, sorrise di nuovo.
“Mi stai prendendo in giro” e con una risata si allontanò, andando a servire un altro cliente, mentre io mi ero già diretta da Luisa, sua figlia, che era alla cassa.
Via del Babbuino non era molto affollata, erano passate da poco le otto del mattino, faceva freddo e c'era solo qualche turista che percorreva la via per arrivare a piazza di Spagna, io mi fermai prima.
Accidenti!
Era evidente che si fosse già sparsa la voce… anche se non sapevo come.
Una folla di ragazzine era assiepata attorno al portone del palazzo dell'agenzia dove lavoravo.
Colorate, griffate, eccitate.
Decisi di utilizzare l'entrata secondaria.
Proseguii per via del Babbuino e poi, girai alla prima traversa, feci una decina di metri e suonai il campanello senza targhetta, sul citofono di un portone.
Sentii lo scatto automatico subito dopo entrai nell'androne.
Percorsi quasi al buio uno stretto corridoio che puzzava di metano o di fogna, non ero mai riuscita a dare una connotazione precisa a quell'effluvio maleodorante, ma visto da quanto durava, non doveva essere pericoloso.
Arrivai fino in fondo e mi trovai in uno spiazzo interno circondato da palazzi. Andai dritta verso una porta, era chiusa.
Mentre cercavo le chiavi nella borsa a tracolla, sentii il rombo di una moto.
Mi voltai, il cancello di entrata per il parcheggio si aprì lentamente, permettendo al motociclista di varcarlo.
Lo squillo del mio cellulare: un semplice 'drin' di antica memoria fu quasi coperto dal rombo della moto che sostò a pochi metri dalla porta che mi accingevo ad aprire.
Trovai le chiavi prima del cellulare, mi voltai verso la porta, mentre il 'drin' diventava insistente.
La cartella che avevo sotto il braccio scivolò a terra e si aprì, mentre la chiave girava nella toppa.
Guardai con disperazione i miei disegni sparpagliati a terra. Lasciai la porta aperta e tentai di raccoglierli, ma prima decisi di porre fine all'insistente suono del telefono e senza vedere chi era, risposi.
“Pronto!”.
“Allora, dove accidenti sei?” La voce isterica di Veronica mi trapassò un timpano.
“Sto salendo!”.
“Vedi di sbrigarti” e chiuse la comunicazione, senza darmi modo di dire altro.
Rituffai rapida il cellulare nella borsa e mi inginocchiai a raccogliere i miei disegni.
Stupendo!
Uno dei fogli era finito sotto a un discendente della grondaia prolifico non solo di condensa notturna, ma anche di un certo quantitativo di muschio putrido che si era depositato con nonchalance sul mio bozzetto.
“Serve una mano?” una voce profonda mi costrinse a voltarmi.
Era il motociclista, non lo guardai in faccia, sconvolta per la catastrofe in cui ero appena incorsa: il mio progetto migliore era irrimediabilmente rovinato.
“Credo di farcela”, ma la mia voce era rotta dalla rabbia e dalla frustrazione.
L'uomo si chinò e percepii un forte profumo che sovrastò l'odore di muffa del pavimento, della pioggia e persino della crema dentro ai bomboloni.
Testosterone puro, non c'è che dire.
Non alzai lo sguardo, convinta che le sue mani dalle dita lunghe e curate fossero già una bella distrazione insieme alla sua voce suadente.
“Grazie!” gli dissi, quando riuscii a infilare di nuovo tutti i disegni dentro la cartellina, tranne quello bagnato.
“Era il più bello!” disse l'uomo, imprimendo alla sua voce un tono ancora più profondo e velato di tristezza.
Annuii e lo guardai, aveva sostituito il casco con un berretto da baseball e lo portava con la visiera talmente abbassata che impediva di vedere buona parte del suo viso. Inoltre, gettava un'ombra cupa sulla leggera barba che gli contornava il mento e la mascella. Le mie osservazioni furono di breve durata perché l’uomo così partecipe della mia disgrazia si voltò verso la moto e prese il casco.
Io mi diressi alla porta ed entrai nel palazzo. Lui mi seguì e premette il tasto di chiamata dell'ascensore: io avevo entrambe le mani occupate, una a sorreggere la cartellina, mentre l'altra tentava disperatamente di asciugare il disegno bagnato, sventolandolo come una bandiera.
Attendemmo l'ascensore che sembrava non arrivasse mai.
Il cellulare riprese a squillare e mi resi conto che non ero in grado di rispondere, lui mi prese il disegno dalla mano, aveva capito che ero totalmente in balia degli 'sfortunati' eventi.
“Che vuoi?” chiesi scocciata ad Anna, la mia unica e migliore amica, quando riuscii a ripescare il cellulare dalla borsa.
“E tu non mi dici niente?”.
“Che ti devo dire?” le chiesi allarmata.
“Che mestiere faccio?”.
“Senti, sto per entrare in una tempesta perfetta. Veronica aspetta che le porti il mio lavoro e pensa un po'… ho appena rovinato il progetto migliore, sai quanto è tenera con i suoi collaboratori, quindi, lascia da parte i quiz dementi per un altro giorno. Ci sentiamo dopo, se ci sarà un dopo. Veronica potrebbe decidere di mettere fine alla nostra collaborazione e sai che per me questo lavoro è tutto...” Lei non mi diede modo di terminare il mio frustrante sfogo perché riprese a parlare, nel frattempo, l'ascensore era arrivato e l'uomo accanto a me aprì le porte, stando attento a non rovinare ulteriormente il mio disegno.
Io con l’orecchio al telefono avevo gli occhi incollati al mio foglio che superò la porta di pesante metallo dell'ascensore e poi le due ante di legno dell'interno della cabina, sempre in mano allo sconosciuto.
“So che Kail è a Roma e che...” riprese lei le fila della conversazione.
“Senti, ne parliamo dopo, io...”.
“A che piano?” chiese l'uomo.
“Quarto”, gli dissi e poi, con noncuranza ripresi a parlare con Anna.
“Hai presente lo squalo che mi sta per fare a pezzi? Cosa vuoi che mi importi se tu devi fare qualche foto e scrivere due righe demenziali sull'idolo delle ragazzine fuori di testa che non capiscono la differenza tra un testo scritto da un poeta vero e uno che ha successo solo perché sa stare su un palco? Ma… sei al corrente dei testi delle sue ultime canzoni? Lasciamo stare… te li risparmio, tanto fanno rima con cuore e amore, ma credimi, uno che ama davvero una donna non le dice certe minchiate e adesso ho da fare!” e chiusi la comunicazione.
“Grazie! Non mi è mai capitato di chiuderle il telefono in faccia... si arrabbierà e diventerà una iena, lo so”, ridacchiai in preda ad un attacco isterico e mi ripresi il disegno.
“Cuore e amore”, ripeté l'uomo.
“Sì, un genio: 'Amore ti leggo nel cuore', Leopardi gli sparerebbe con un fucile a pompa, ma lui poveretto non godeva di una bella presenza e non riusciva ad esprimere apertamente le sue profonde emozioni a causa della sua timidezza, però, era in grado di far viaggiare le sue parole come note musicali o come un profumo inebriante che si diffondeva nell'aria. Pioverà oggi, credo che lei abbia scelto il giorno sbagliato per andare in moto”, gli dissi convinta.
Lui iniziò a ridere di gusto e io lo guardai come se fosse di colpo impazzito.

L'autrice parla di sè

Mi chiamo Elisabetta Rossi e sono nata ad Ancona.
Ho riempito di scrittura quaderni di poesie e racconti sin dall’infanzia e tutto, solo per passione.
Ora, alla passione si è aggiunta la determinazione e la necessità di scrivere tutti i giorni.
Il mio primo incontro con l’editoria è grazie a delle illustrazioni, quelle per un libro di favole: “Cammerville”.
Poi, una rivista femminile a tiratura nazionale mi ha dato l’occasione di saggiare le mie qualità di scrittrice. Ho collaborato con loro per quattro anni scrivendo racconti e romanzi brevi.
Nel frattempo, il mio desiderio di scrivere inseguiva nuove e più impegnative mete: un romanzo più ampio e strutturato.
Nel settembre del 2008 l’Armando Curcio Editore pubblica il mio primo romanzo, utilizzando uno pseudonimo. Questa avventura è proseguita con la pubblicazione di due romanzi rosa e quattro gialli, l'ultimo è uscito a giugno del 2012.
La tappa successiva del mio percorso è stata quella dell’editoria digitale affrontata come self-publisher.
Attualmente, la mia “squadra” di ebook auto pubblicati spazia dal romance al giallo con diversi titoli diffusi su molti store online.
Nonostante i vari cambiamenti e i naturali passi avanti nel mio modo di scrivere, alcuni punti restano tuttora fermi dai primi personali tentativi di scrittura ad oggi: la passione che continua a spingermi imperiosa e la speranza di riuscire ad inchiodare il lettore alle mie pagine, fino a fargli dimenticare quello che lo circonda.

Potete contattare l'autrice a questo indirizzo: www.librarsi.net

Oppure a questo indirizzo email: info@librarsi.net

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